Esclamazioni

Siamo di fronte a una delle ‘opere minori’ di Teresa di Gesù, cosiddetta per la sua brevità, non per la sua inferiore capacità di suggestione o di insegnamento. La concisione, l’estemporaneità di queste preghiere scritte di getto, dopo la comunione, ci trasmettono invece una straordinaria visione intuitiva della verità, ci introducono nel dramma esistenziale di una vita sovrabbondante di desideri e di relazioni, costituendo una vera e propria scuola di preghiera “in diretta”. Un testo eccezionale quindi per conoscere l’anima incandescente della Santa, la vera Teresa così com’è, il suo rapporto immediato con Dio, non un ragionamento, ma il traboccare del cuore, trasmesso da queste righe molto più che dalle opere dottrinali in cui il mistero vissuto per essere comunicato deve adattarsi a un linguaggio riflesso ed elaborato concettualmente. Eppure anche nelle Esclamazioni è presente tutta la molteplicità dei temi teresiani in materia di orazione, esposti con il realismo e drammaticità di un’esperienza viva che si ripete ad onde. Tornano via, via le stesse richieste, gli stessi impeti, le stesse decisioni, per ricevere sempre maggiore profondità ed incisività, nell’aggiunta di nuove sfumature e scoperte.

Anche qui Teresa è donna capace ed esperta relazione: con Dio Padre, con Cristo, con i peccatori, con i santi, sempre in rapporto diretto, franco, in cui mostra se stessa con i suoi desideri, le sue paure, i suoi dubbi, la sua gioia dirompente, la sua passione lancinante.

Non vive tuttavia che un solo rapporto: quello con Cristo, il suo amico, il suo tutto.

«Si dice che il cristianesimo conosce l’amore del prossimo e l’amore di Dio. Non è vero: il nostro amore non può raggiungere né Dio né il prossimo, ma soltanto il Cristo; ma in Cristo gli uomini, perché lui ha assunto in sé in atto primo tutti gli uomini; ma in Cristo Dio, perché Dio si è fatto presente nel Cristo. In che modo l’amore che unisce potrebbe essere diviso? L’amore no ci divide tra Dio e gli uomini. L’amore, come compie la nostra unità, così riconosce l’unità che si è compiuta nel Cristo, il quale è l’unico amato. […] Questo ha visto Teresa…»[1]. Per lei non vi è altro che la presenza di Cristo: ogni suo atto diviene rapporto con Lui, in ogni avvenimento entra in dialogo con Lui che le si comunica continuamente: nelle Esclamazioni più che mai è impressa la centralità di Cristo, che ritorna ad ogni pagina.

Due ‘poli in tensione’: l’umanità di Teresa…

Nel movimento della preghiera tuttavia l’attenzione di Teresa oscilla tra il considerare se stessa (chi sono io?) e Dio (chi è Dio?): sono i due poli della relazione che, uno di fronte all’altro, entrano in dialogo. Raccogliendosi subito dopo la comunione, avverte tutto il suo limite, la sua incompiutezza. La prima reazione della persona alla presenza divina è sempre il sentimento della sua indegnità: si ricorda le miserie del passato, le mancanze del presente, nelle quali, una volta trovava aiuto (1,2: Eppure, in principio, quando voleva contemplare le vostre grandezze, trovava un aiuto colà dove più chiare apparivano le mie innumerevoli miserie). Si chiede come mai nel suo cuore abitino insieme desideri immensi e grandi bassezze (6,1: E insieme volete, o mio Dio, che un verme così spregevole provi in se stesso tanti contrari sentimenti!). Come mai, nonostante le grandi grazie ricevute continui a cercare la salvezza dove non ci può essere (3,1: Dimenticando che siamo caduti perché abbiamo voluto ferirvi con un colpo mortale, Voi tornate a stenderci la mano e ci traete da sì incurabile frenesia onde vi cerchiamo e vi chiediamo salute; 8,2: Che profondo accecamento! Cerchiamo la felicità dove è impossibile trovarla). Anche se: So bene che nessuna creatura può contentare me(15,2). «Posso continuare ancora a pregare nonostante le mie infedeltà alle molte grazie ricevute?»

Trova in sé tante domande, tante contraddizioni: perché codardi in tutto, siamo poi sì arditi in offendervi? Ecco a che servono le energie dei figlioli di Adamo! (12,1-2).

Teresa ci insegna come la preghiera non sia quasi mai esperienza di pace, ma piuttosto lotta, dramma di una passione mai estinta. Il contatto con Dio provoca solitamente un forte scontro nel quale l’accendersi di un sentimento provoca il suo contrario e l’incalzare delle domande sembra non placarsi.

Teresa tuttavia è audace, non si scoraggia: vuole, con tutte le sue forze, rimanere nella relazione, non commettere l’errore di abbandonarla, come in passato.Fa leva sulle promesse del Signore, su quanto ha letto nella Sacra Scrittura o sentito proclamare nella celebrazione dei sacramenti: Gesù è venuto per i peccatori (3,3:Che domanda sciocca, Signore! Sembra che dimentichi le vostre grandezze e misericordie, e non pensi che siete venuto al mondo per i peccatori. A che prezzo ci avete riscattati, pagando i nostri falsi piaceri con tanti tormenti e flagelli! Non siete Voi che avete guarito la mia cecità con la benda che ha velato i vostri occhi divini, e la mia vanità con la vostra crudelissima corona di spine? 7,1: Speranza mia, Padre mio, mio Creatore, mio vero Signore e Fratello, quando penso a quello che Voi dite, cioè, che le vostre delizie sono nell’abitare con i figlioli degli uomini, la mia anima s’inonda di gioia. Signore del cielo e della terra, dov’è il peccatore che dopo tali parole possa ancora disperare?), in loro dimostra la sua misericordia e in un istante può far riacquistare il tempo perduto (4,1: E questo è il momento di far vedere se la mia anima s’inganna quando, pensando al tempo perduto, afferma che in un istante Voi potete farglielo riacquistare).

Per questo, nonostante la miseria, sente di poter esporgli i suoi bisogni (5,1: dovrò forse nascondere i miei bisogni aspettando in silenzio…No, davvero, Signore…), le sue necessità (Lui ha detto: venite a me…8,2): si trova ferita, la nostalgia di vederLo, della Sua presenza, la consuma, ha fretta, ma non può niente senza Dio, senza la sua luce (8,2: Dateci luce, Signore! Vedete, essa è più necessaria a noi che al cieco nato, perché il cieco, Signore, desiderava vedere e non poteva, mentre noi rifiutiamo di vedere. Vi è forse male più incurabile?). Un vero e proprio cortocircuito interiore in cui da una parte sente tutta la sua impotenza nei confronti del male, dall’altra ha la speranza che Dio le doni il suo amore.

A momenti ha l’ardire di scuotere il Signore, vorrebbe ‘svegliarLo’; prende le difese di Dio contro Dio, non sopporta che si abbassi così nel trovare le sue delizie tra gli uomini; poi ricorda a Lui, ma in realtà, a stessa, le sue promesse, arriva alla pretesa, per poi arrendersi: è il movimento dell’amore folle, dell’amicizia vera, provata!

Si lamenta con Lui: Quando? quando?… Che farò io, mio Bene, che farò? Desidererò forse di non più desiderarvi? Ah, mio Dio e creatore mio! Voi ferite e non date il rimedio; piagate e le piaghe non si vedono; uccidete per lasciare più vivi! In una parola, Signore, fate quello che vi piace, dimostrandovi onnipotente (6,1).

E che vi è d’impossibile a chi tutto può? Vogliate, dunque, Signore, vogliate! (4,2)

…in che modo il nostro amore potrà esser degno dell’Amato, se Voi, mio Dio, non lo rafforzate con quello che Voi avete per noi? Mi lamenterò anch’io come questa santa donna?(5,2).

Ma che bisogno può avere Dio, beato nella comunione trinitaria dell’amore di noi, povere creature? (7,2: Ora, che bisogno v’è del mio amore? Perché lo volete, o mio Dio? Che ci guadagnate con esso?).

Si tratta di qualcosa di inspiegabile, un paradosso insolubile, non capisce come il suo ‘Diletto’ possa desiderare un amore così basso come il suo: è la confusione dell’amore, la contraddizione di chi è innamorato (in 4,1: Vaneggio!). La esprime con veemenza, nella tempesta dei sentimenti:non ci capisco nulla, guarite tanta demenza e cecità!(14, 4);

non intendo me stessa…non più fiducia nei miei desideri (17,2). Si sente così debole da non credere più a se stessa, da non sapere più cosa chiedere, sprofonda sempre più nel sentimento della sua impotenza e radicale incapacità se Dio non vive e non opera in lei.

Arriva ad intuire che non ci si conosce se non in Dio, davanti a Lui (3,1: la dimenticanza di Dio è la dimenticanza di noi stessi).

Invoca l’inferno divino (17,3), con un linguaggio davvero estremo e paradossale, e se la prende con il libero arbitrio: «Signore toglimi la possibilità di allontanarmi da Te!».

Fate che le vostre parole non si cancellino da me!(8,1)

Vorrebbe addirittura che cessasse l’incertezza della fede di essere o no nella volontà di Dio (1,3), il dolore dell’instabilità per cui anche il santo può peccare.

Sembrerebbe che dalla drammaticità della vita interiore che cresce con la santità, dalla contraddizione si sprigioni il fuoco della preghiera di Teresa.

«Il famoso verso: «Muoio perché non muoio» dice precisamente questo: quanto più Dio si dona all’anima, tanto più l’anima si dona a lui, perché sempre più cresce la sete. Dio non appaga: si dona per affamare, per assetare di sé. Perciò Teresa, pur vivendo già nel seno di Dio, da una parte ne assapora l’estraneità, e dall’altra l’appartenenza a un’umanità che da lui è lontana, ma che deve portarla negli abissi divini»[2].

Infine, dopo la resistenza, la ‘resa’, con un movimento di alternanza che torna in quasi tutte le sue espressioni oranti: Teresa sembra quietarsi, abbandonarsi, la veemenza dei sentimenti si placa finalmente nel lasciarsi portare da Dio che conosce quello che è conveniente per lei, che, solo, può salvarla, santificarla e colmare i suoi desideri. Il senso di impotenza deve ridimensionarsi, deve affidarsi e trovare la sua collocazione ai piedi del suo Sposo, nell’adesione alla sua volontà, nella quale il suo amore trova la sua perfezione:Fate, o mio Dio, che innanzi a Voi abbiano valore almeno i miei desideri, e non guardate alla pochezza dei miei meriti (15,3).

Spera in Dio, a cui nuovamente confesserò i miei peccati e di cui proclamerò le misericordie…Non abbandonarmi Signore! (17,6)

«Si raggiunge la pace di Dio solo dopo aver conosciuto la tempesta delle tentazioni, dei desideri implacabili, delle tempeste che nascono dall’esperienza proprio dell’uomo toccato da Dio. Quando Dio ci tocca, l’anima non dorme più. A quel tocco, l’anima si rinnova, tende a lui con violenza; e questa stessa violenza trova in lui il suo riposo».[3]

In tutto questo Teresasi sente solidale con ogni uomo: è davanti a Dio con tutti e per tutti, la sua è la miseria redenta di tutti. Lei, peccatrice, grida perché cessino i suoi peccati e quelli dei suoi fratelli: Cessino con i miei anche (i peccati) degli altri…(10,2). Invoca Dio a loro favore: abbiate pietà di coloro che non ne hanno di se stessi…andate voi da loro…ve lo domando a nome loro…(9,1). Chiede loro di aprire gli occhi:Vi prega il giudice stesso…perché non volete vivere eternamente?(10,3)

Ancora una volta troviamo in Teresa la passione per l’uomo, cieco e pazzo (12,1), intontito: quasi per convincerlo gli spiega che l’amore per Dio, al contrario di quello umano, aumenta se aumentano gli amanti (2,1). Nella sua preghiera, genuinamente ecclesiale, mantiene un legame profondo sia con Dio che con i peccatori, che arriva a crocifiggerla, a identificarla con Cristo. Come Lui si tende tra due estremi, il peccato e la santità, l’inferno e il paradiso, l’abisso del male umano e quello della misericordia divina.«Nulla è più drammatico di questa vita interiore di una santa che passa continuamente dal cielo nell’inferno, per portare l’inferno nel cielo e far scendere il cielo sulla terra»[4].

«Teresa vive contemporaneamente una partecipazione alla vita dei santi nel gaudio e a quella dei peccatori nelle tentazioni. Vivendo nel mondo si sente quasi nell’inferno; la sua solitudine quando Dio non è presente è come la pena del danno. Dio solo è il punto che rende possibili entrambe le comunioni. Dio è l’unità in cui si incontra ogni anima e per il fatto che Dio è il centro, Teresa può vivere una comunione d’amore con i peccatori e con i santi per la stessa lode al Signore»[5]

…e quella di Cristo

Cristo Signore per Teresa è l’amato, cercato, invocato, chiamato con le espressioni più affettuose e cariche di sentimento :

Vita mia, Misericordia mia, mio Riposo, mio Tesoro, Amico sincero, mio Bene, mia vera Fortezza, mio Re, mio Diletto, mio vero Amante, Sapienza infinita, somma Verità, Amore, Consolazione dei desolati, Rimedio di chi vi chiama in aiuto, mia Delizia, Gloria mia, Speranza mia, Signore e Fratello, Maestà, Creatore mio, mio Principe…

Litanie cristologiche teresiane! Ripetendole si ha davvero la percezione di un amore sconfinato, totalmente affidato e incarnato; un rapporto vivo, spontaneo, diretto e continuo!

Gesù, inoltre, è, per Teresa, il folle innamorato dell’uomo: Dio e l’uomo si comprendono uno nell’altro. Meraviglia della nostra fede che la fa esclamare:…Incomprensibili sono le vostre opere! (8,1)

È Colui che trova le sue delizie nell’abitare con i figli degli uomini (7,1, una citazione di Pr 8,31: tipico tema teresiano, la stessa citazione con cui apre il ‘Castello’).

Colui che, nella sua infinita benevolenza, ridona la vita anche a coloro che non la chiedono

(10,2): come è accaduto a Lazzaro, che non ha chiesto al Signore di essere risuscitato, secondo la particolarissima interpretazione che Teresa offre dell’episodio evangelico degli amici di Betania.

Colui chenon vuole che la nostra amicizia(14,3), è eccessivo, non misurato:legato e incatenato dall’amore (12,4) e soffre per la nostra incorrispondenza e cecità(quanto soffrite! 12,5). Per Teresa l’onnipotenza e la debolezza si trovano sempre unite in Dio (come altre volte la maestà e l’umanità): l’amore è il sentimento che le tiene insieme entrambe, nell’amore non si oppongono.

Basta che noi vogliamo essere amati e il suo amore ci colma di sé: O bontà veramente infinita!(14, 3). Gesù Signore è veramente un amante particolare: non ci ama per le nostre doti, le nostre abilità e capacità, ciò che lo attira è il nostro limite, il nostro peccato, il nostro vuoto che invoca il suo immenso amore. Credere a questa gratuità senza causa e senza condizioni, per noi è davvero difficile, siamo ciechi, come ripete Teresa, nel misurare il Suo amore sul nostro.

Teresa contempla la bellezza, l’incantevole sguardo di Gesù, fonte della sua gioia, e teme di vederlo adirato a causa delle sue mancanze (14,2): Dio, per lei, è talmente uomo, che si rende presente attraverso il suo volto, i suoi occhi, con i quali ci parla, entra con noi in una reale comunione d’amore. La sua consuetudine con Gesù arriva al punto da riconoscerne la fisionomia, i gusti, i gesti nella carne. È una persona che lei frequenta continuamente perché da Lui attratta dolcemente: la sua presenza non l’abbandona, la insegue, la investe, la colma, fino a chiamarla a condividere il sui stesso destino.

Per questo Teresa continuamente Lo cerca, con una sete mai del tutto appagata:

Vita che vivifichi ogni essere, non negarmi l’acqua dolcissima che prometti a chi la brama. Signore, io la bramo, io te la chiedo, io vengo a te. Non nasconderti a me, o Signore. Tu conosci il mio bisogno, e sai che quest’acqua è l’unico rimedio per l’anima da Te ferita (9,2).


[1] Barsotti Divo, Chiedere Dio a Dio, Padova 1988, 22-23.

[2]Ibd, 73-74.

[3]Ibd, 38.

[4]Ibd, 77

[5]Ibd, 65

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