Lettere a madre Maria di San Giuseppe

La fondazione del monastero di Siviglia

Il monastero di Siviglia è l’undicesima fondazione della Santa Madre Teresa, da lei raccontata con dovizie di particolari nel libro delle Fondazioni, in ben tre capitoli, 24, 25, 26. Vi si reca da Beas, percorrendo 300 km, nel maggio del 1575, dopo un viaggio rischiosissimo e faticoso, attraverso pericoli e ricoveri precari, nel caldo afoso, tra malattie e sporcizia. L’ha invitata padre Mariano insieme a padre Gracian, preparando in città per lei e le monache destinate al nuovo monastero, una casa con il minimo indispensabile per la vita, in una grande povertà. Teresa vi risiede un anno e deve superare parecchi ostacoli: ricorderà infatti che, per la fondazione di Siviglia, «la mia gioia più grande era quella di avere goduto dei travagli»[1]. La sofferenza peggiore è causata dalla contrarietà del Vescovo di Siviglia a fondazioni senza rendite: p. Gracian e p. Mariano non ne hanno informato  Teresa, la quale se l’avesse saputo non sarebbe partita da Beas. Quando arriva a Siviglia con tutte le difficoltà e le fatiche incontrate, pensa che queste prove siano il segno che la fondazione in quella città non si debba fare ed è fortemente tentata di tornate nella sua Castiglia: «Non so se ciò dipendesse dallo stesso clima del paese, perché ho sempre sentito dire che là i demoni hanno maggior libertà di tentare, così permettendo il Signore. Certo è che ne fui assalita in tal modo che mai in vita mia mi sono trovata così pusillanime e vile come allora: non mi riconoscevo più. Ben è vero che la mia solita confidenza non mi aveva ancora abbandonata, ma il mio stato d’animo non era quello che ho sempre avuto dacché mi occupo di fondazioni. Capivo che Dio ritirava alquanto la sua mano per lasciarmi a me stessa e farmi vedere che il coraggio di cui ero stata animata non veniva da me»[2].


[1] F 26,1

[2] F 25,1

A Siviglia i padri Carmelitani Scalzi hanno già un convento, a Los Remedios, e vi si trovano anche i padri Carmelitani Calzati. Le monache vivono i primi tempi in grandissima povertà, anche perché, sapendo che Siviglia è una città molto ricca, sono arrivate con pochissimi viveri: a volte si cibano solo di un pezzetto di pane diviso tra tutte loro. Urgentissimo trovare un’altra casa, più adatta: la Provvidenza viene loro incontro, perché dopo 35 anni, il fratello di Teresa, Lorenzo insieme ai tre figli e al fratello Pietro, torna dall’America e aiuta finanziariamente, per l’acquisto di un nuovo monastero; con il sostegno di un sacerdote amico, che conosce bene Siviglia, trovano e acquistano una casa a un prezzo molto favorevole. La Santa ne è subito soddisfatta, ma il nuovo alloggio si trova vicino al convento dei frati francescani, che ostacolano le Carmelitane. Teresa non si perde d’animo: con la madre Maria e due monache, si reca di notte in questa casa: nella paura ogni ombra pare un frate francescano venuto a spaventarle! Mette un po’ di ordine e silenziosamente si celebra la Santa Messa. Fatto questo, i francescani si calmano. Cominciano poi ad avere qualche aiuto materiale: Siviglia è una gran città di commercio, alcune persone si impegnano a sostenere le monache e la comunità pian piano si sistema. Sorge poi qualche malinteso con l’Inquisizione, che ha insediato a Siviglia un tribunale particolarmente importante: un giorno con carri e carrozze arriva al monastero! Il motivo? Una giovane dimessa dal monastero, ha denunciato con calunnie le monache. Naturalmente tutto si risolve in fretta e felicemente.

Teresa in questo tempo teme anche per p. Gracian, nominato visitatore dei Carmelitani calzati: un giorno, recatosi per la sua visita al loro convento, subisce la violenza della loro ribellione. Alla Santa è riferito addirittura che Gracian è morto! Lei ne soffre tantissimo, ma non riesce a crederlo: è il 21 novembre, festa della Presentazione al Tempio di Maria, e fa la promessa che se Gracian ne fosse uscito libero e indenne, in tutti i monasteri dell’Ordine, si sarebbe cantato, in quel giorno, la Salve Regina, in forma solenne. Cosa che avviene tutt’ora!

Finalmente il Vescovo mantiene la promessa che da tempo ha fatto alle monache e, completamente rasserenato, visita il monastero e decide con Teresa di porvi solennemente il Santissimo Sacramento: gli amici si adoperano per addobbare le strade a festa e con grandi apparati, invitano tutti i religiosi della città. Dopo la processione e la Messa, celebrata con grande solennità, Teresa va a ringraziare il Vescovo e si inginocchia per chiedere la sua benedizione, ma con grande sua confusione, anche il Vescovo si inginocchia davanti a lei per domandarle di benedirlo!

La Santa deve partire il giorno seguente per tornare in Castiglia, quando le giunge la triste notizia che al capitolo dell’Ordine, il padre generale Rossi, prima a lei tanto favorevole e devoto, ha completamente cambiato disposizione, e le ingiunge di ritirarsi in un monastero e di rimanervi senza ulteriori spostamenti.

Per Teresa questa decisione costituisce un enorme dolore, che, tuttavia, non le impedisce di obbedire e scegliere di stabilirsi nel monastero di Toledo.

Madre Maria di San Giuseppe

La Santa giunge a Siviglia con sei monache di cui ha grandissima stima: «Ora pensando all’inferno, ora con l’idea di patire e far qualche cosa per Dio, le nostre sorelle viaggiavano molto allegre e contente. Ne avevo sei con me: tali che con esse mi sarei recata anche fra i turchi perché avrebbero avuto tanta forza – o meglio l’avrebbe loro data il Signore – di soffrire per Lui ogni cosa. Non bramavano né parlavano che di questo. – Erano anime di grande orazione e mortificazione Dovendo rimanere così lontane, avevo cercato di scegliere quelle che mi sembravano più adatte: precauzione necessaria, perché molti furono i travagli che vi ebbero a soffrire»[1].

Designa subito come priora la Madre Maria di san Giuseppe, di 27 anni, che ha professato a Malagon, a 23 anni, e che subito si dimostra all’altezza dell’incarico e delle aspettative della Santa: « In quell’affare Sua Maestà dava a lei maggior fede e coraggio che non a me. E ne deve avere per ogni altra cosa, perché è assai migliore di me».[2]

Teresa l’aveva conosciuta nel Castello di donna Luisa della Cerda, a Toledo, quando faceva parte della servitù, vivendo con lei poi per qualche tempo  nel monastero di Beas. Molto dotata umanamente, cattura da subito l’ammirazione e l’affetto sviscerato di Teresa, che però in un primo tempo non riesce a capire e a ricambiare. Successivamente invece si crea un legame di amicizia e di maternità molto stretto tra queste due sante monache.

Affetto reciproco

È prevalentemente dalla sua dimora forzata di Toledo che Teresa intrattiene un fitto carteggio con madre Maria di San Giuseppe, anche perché è riuscita a trovare un corriere affidabile. La ama molto, ma, non essendo almeno all’inizio corrisposta, ne soffre, leggendovi una prova del Signore: il ricordo di questo tempo le servirà poi per moderare il suo affetto per questa giovane Madre: «…comincio ora a credere che ricambi il mio affetto. Piaccia al Signore che esso sia evidente da raccomandarci reciprocamente, di continuo a Sua Maestà…Come potrei non amarla grandemente se non fa che coprirmi di cortesie?»[3] . La madre Maria, infatti, nonostante la povertà, le manda spesso tanti regalini, frutti, dolci, erbe medicinali, ecc.: Teresa ne gode e le è riconoscente.

Nelle sue lettere continua a preoccuparsi molto per la situazione del monastero di Siviglia e per la salute della sua Priora: più volte le raccomanda di prendersi cura di sé e si dice sempre molto contenta delle notizie che riceve. Le ripete la supplica che le sue lettere siano tante e numerose, la prega con ironia di salutate p. Antonio di Gesù e p. Mariano: «Voglio cercare anch’io di raggiungere la perfezione che loro raggiungono nel non scrivermi » [4]!

Non si vergogna a manifestarle tutto il suo affetto e la sua stima, a scriverle che  ogni sua lettera la colma di gioia, a informarla che la sua salute va meglio e che , a volte, “ha un così vivo desiderio di vederla che sembra non abbia altro a cui pensare”. Così dovendo partire per Bugos le piacerebbe potersi recare a Siviglia: «Il paese è freddissimo per la stagione in cui siamo. Desidero tanto di vederla che affronterei volentieri anche un freddo maggiore se si dovesse passare per Siviglia. Spero che un giorno o l’altro il Signore mi vorrà compiacere».[5]

La reciprocità è attesa nella pace, senza morbosità: «La sua lettera mi ha inondata di gioia. E non è una novità: mentre le altre lettere mi stancano, le sue mi ricreano. Se lei mi vuol bene, gliene voglio pur io, e godo che me lo dica. D’altra parte, bramare di essere corrisposti è un bisogno di natura, e non vi dev’essere alcun male, perché lo vuole anche nostro Signore. Se non altro, cerchiamo d’imitarlo in questo punto, malgrado che il nostro amore non sia da paragonarsi a quello che dobbiamo a lui e che egli ha diritto di aspettarsi da noi»[6].

Teme che non le dica la verità per non preoccuparla: « Prima di dimenticarmene, le dirò che mi è piaciuto moltissimo veder la nota delle elemosine che hanno avuto e il molto che le monache mi raccontano di aver guadagnato. Ne avrei molto piacere se fosse tutto vero, ma siccome lei è tanto astuta, temo che ci sia qualche esagerazione, come ne dubito quando mi dice che sta bene: tanto per tenermi contenta»[7].

Da ogni sua lettere traspare la preoccupazione materna di creare unità tra le sue figlie, scambi di ogni genere tra i monasteri da lei fondati: gode che le monache si conoscano e si aiutino reciprocamente, dal punto di vista materiale e spirituale. Con prudenza, ma anche estrema naturalezza, può permettersi di trasferire una monaca da un monastero all’altro, certa della comunione carismatica delle sue comunità. Stima così tanto madre Maria che le attribuirebbe il titolo di ‘Fondatrice’, educatrice, come lei, nei campi della preghiera e della fraternità: «Lei riesce così bene, che se dovessero chiedere il mio parere, dopo la mia morte verrebbe nominata fondatrice. Anzi, vi acconsentirei volentieri anche se la facessero me vivente, perché lei ne sa più di me e vale di più, come di fatto è vero. Il mio vantaggio su di lei è soltanto per un po’ di esperienza».[8]

Le sta inoltre molto a cuore la scelta delle vocazioni per quel monastero e si preoccupa di come provvedere al loro sostentamento, visto il numero abbondante di candidate.

Gode con madre Maria che p. Gracian sia stato lodato come presidente nel capitolo degli Scalzi, ed è molto contenta che alcuni frati dell’antica osservanza, raccogliticci da altri Ordini, se ne siano andati, a motivo del padre.

Soavità teresiana

La esorta alla libertà ad avere criterio nelle mortificazioni: «Prima che mi dimentichi, le dirò che ho sentito parlare di certe mortificazioni che si praticano a Malagòn, come, ad esempio, che la priora ordini a una sorella di dare improvvisamente uno schiaffo a un’altra. È un’invenzione uscita da Toledo, ma sembra che il demonio voglia insegnare, sotto pretesto di perfezione, a mettere le anime in pericolo di offendere Dio. In nessun modo lei ordini o permetta queste cose, né che le monache si diano pizzicotti, come pure fanno a Malagòn. Si guardi dal condurre le monache con il rigore veduto in quel monastero: esse non sono delle schiave. La mortificazione non deve servire ad altro che al profitto delle anime. Su questo punto bisogna star molto attenta, figliola, e non imitare certe priorine che si lasciano guidare dal loro capriccio, per cui vengo a scoprire delle cose che mi trafiggono di dolore. – Dio me la faccia santa! Amen».[9]

«Ancora non le ho detto che trovo giusto e ragionevole il suo lamento contro la M. Priora di Granada. Sì, questa avrebbe dovuto ringraziarla per averle inviate le monache con tanto senso di decoro. 0 che forse doveva mandarglieli a dorso di somarelli, ludibrio a Dio e agli uomini?! Per conto mio, non l’avrei biasimata neppure se, in mancanza d’altro, le avesse mandate in lettiga.[10] Dio la protegga, figliola mia! Lei ha fatto bene. Se qualcuno non l’approva, non se ne curi, ché, in fine, sono tutte sofisticherie. Credo che la priora di Granada doveva essere di malumore per vedere che quella sua fondazione non andava come aveva pensato».[11]

La richiama alla semplicità e alla santità: «Prima che mi dimentichi, la lettera per il P. Mariano sarebbe stata assai bella senza quel latino che lei ci ha messo. Dio liberi le mie figlie dal voler essere latiniste! Non lo faccia più, e non lo permetta alle altre. Vorrei che le mie figlie si applicassero più a far mostra di semplicità, virtù propria dei santi, che ad apparire retoriche»[12].

«Chissà che arie si darà ora che è divenuta mezza Provinciale! [13] E come mi piace quel suo fare autoritario dove dice: «Ecco le strofette che le mandano queste monache!…» mentre forse sono state fatte da lei! Glielo dico perché non abbia a invanirsi, anche perché lei si lamenta di non avere chi la riprenda. Perciò non credo mal fatto di riprenderla io. Non ricorra più a sotterfugi, specialmente quando sono troppo evidenti. Piaccia a Dio che non abbia altro scopo che di dar gusto al Signore: nel resto non ci sarà poi un gran male. – Ora mi viene da ridere: sono qui assediata dalle lettere e passo il tempo a scrivere impertinenze!»[14].  Ironia teresiana!

La sprona alla libertà di adattare le abitudini all’ambiente in cui si trovano, anche per l’abbigliamento: «Oggi mi ha mandato un abito di sargia, proprio di mio gusto, come non ne ho mai avuti, ruvido ma molto leggero. L’ho gradito moltissimo, perché il mio era tutto logoro, e per l’inverno ormai insufficiente. L’hanno confezionato quelle monache unicamente ad alcune camicie. Noi qui d’estate non portiamo camicie: neppure vi si pensa». [15] In Andalusia il caldo non fa sconti!

La soavità e la dolcezza sono sempre le regola del governo, specialmente quando si tratta di monache abituate a lungo a un regime di vita che ora devono cambiare, come quelle del monastero di Paterna: «Dica loro che non si stupiscano se devono alquanto tribolare per adattare la comunità al nostro genere di vita. Sarebbe troppo pretendere che si adattassero immediatamente. E neppure insistano molto sull’osservanza del silenzio e di altre cosette che non sono peccato. Con persone abituate diversamente, a essere troppo esigenti si finisce non già col preservarle dal peccato ma con esporle a peccati maggiori, esasperandole. Ci vuol tempo, e bisogna lasciare che faccia il Signore. – Qui noi preghiamo molto per loro.

Però non sta bene che la priora si lasci ingiuriare, eccetto quando possa fingere di non avvedersene. Chi è a capo di tali comunità deve persuadersi di lasciar fare al Signore e procedere con grande dolcezza, tranne per l’osservanza della clausura». [16]

Teresa: madre tenera ed esigente

Teresa non risparmia alla sua grande amica e figlia, correzioni e rimproveri, quando ama una persona vorrebbe vederla già perfetta («quando amo qualcuno, voglio che non sbagli mai, e divengo intollerabile»[17]): «Ora Dio si degni di ascoltarmi, perché adesso lei con le ricchezze che ha, con la carica che copre e con il buon esito di tutte le sue imprese, per mantenersi umile ha bisogno di un aiuto speciale. E ben mi pare che il Signore glielo conceda con le molte grazie di cui la favorisce. Sia egli per sempre benedetto! È lui che la dirige: ne sia sicura».[18]

«Nonostante codesta sua preoccupazione, creda pure, mi dispiacerebbe di più se vedessi tra loro ‘anime imperfette ed inquiete; ma siccome non vi è nulla di questo, le malattie corporali ed altre cose del genere non mi toccano molto. Per godere del Crocifisso occorre portare la croce: lo sa bene anche lei,. E la croce non occorre certo domandarla, come vorrebbe il mio Padre fra Gregorio, perché a quelli che Dio ama, la dà spontaneamente, come la dette a suo Figlio».[19]

Ha parole di fermo rimprovero anche verso chi ama teneramente: «Figlia mia, non è il caso di chiedermi tante scuse per ciò che riguarda la mia persona. M’importa poco che si faccia o non si faccia conto di me, quando vedo che le mie figlie sono esatte nei loro doveri. Ma mi pare che non lo siano affatto quando non mi ascoltano e mi lasciano sfiatare invano, mentre io non mi affanno che per il loro bene con tanta sollecitudine ed amore. Mi disgusta tanto questo fatto che, alle volte, vorrei buttare via ogni cosa, sembrandomi di non cavarne nulla. Eppure le amo tanto che appena scorgo qualche frutto, mi riprendo di coraggio. – Ma è meglio non parlarne più…Il Signore faccia di Vostra Reverenza una cosi grande santa come io lo supplico, e me la conservi a lungo! Nonostante la sua cattiveria, vorrei averne delle altre come lei, perché, per il caso di una qualche nuova fondazione, non saprei proprio chi scegliere a priora… I fatti avvenuti in questa casa, e che lei ben conosce, le possono servire di esperienza. Creda, il demonio voleva servirsi di loro per un suo brutto gioco. Io ero stupita di quello che lei mi scriveva, e dell’importanza che ci annetteva. Ma dov’era la sua testa? E suor S. Francesco? Oh, mio Dio! quante scempiaggini nella sua lettera! E tutto per raggiungere il suo scopo. Il Signore ci dia la sua luce perché senza di essa non si ha forza né abilità che per il male. Godo che ora Vostra Reverenza si sia ricreduta, perché questo le servirà per l’avvenire. – Gli spropositi fatti ci sono di aiuto per comportarci con maggior prudenza, e così s’impara» [20].

La istruisce sull’orazione e sugli inganni in cui può cadere chi non ne ha molta esperienza, vera maestra in questo cammino di amicizia: «Prima che mi dimentichi, non approvo per nulla che codeste sorelle mettano in carta quanto avviene loro nell’orazione. Vorrei farle vedere tutti gli inconvenienti che vi sono. Fosse solo un perditempo, sarebbe sempre un ostacolo che impedisce all’anima di camminare con libertà, senza poi dire che talvolta vi può anche entrare la fantasia. Se mi ricordo, ne farò parola a nostro Padre: se no, gliene parli lei. Se le cose sono importanti, non si dimenticano; se poi si dimenticano, non vale la pena di farne caso»[21].

«Ho piacere che nostro Padre abbia ordinato di mangiar carne alle due monache di grande orazione. Creda, figliola mia, esse mi fanno compassione. Se fossero con me, non avrebbero tante visioni! Mi fanno sospettare appunto perché sono troppe. Benché alcuna possa essere vera, è sempre meglio non farne caso. Perciò cerchi di non curarsene, sia Vostra Reverenza che nostro Padre: anzi, le disprezzino. Non si perde nulla a far così, neppure se sono vere. Però nel disprezzarle vorrei che si facesse loro capire che varie sono le vie per le quali Dio conduce le anime, chi in un modo e chi in un altro, e che la loro non è la più santa, come del resto è verissimo».[22]

Si prende cura del monastero di Siviglia e dalla sua Priora soprattutto nel momento delle afflizioni, che sotto forma di calunnie o restrizioni materiali, non abbandonano mai le sue figlie amate; le esorta a conformarsi al loro Sposo, che tanto ha sofferto, e a prendersi cura, nel perdono e nella verità, di chi causa la loro tribolazione (cfr lett. 3 maggio 1579): «Sappiano che io non le ho mai amate come ora, e che mai come ora hanno avuto motivo di ringraziare il Signore per la grazia che loro accorda di gustare alquanto le sue amarezze e partecipare all’abbandono che egli ha sofferto sulla croce. Benedetto il giorno che sono entrate in codesta casa dove le attendeva una così felice avventura! Io le invidio. Quando ho saputo di codesti scompigli, dei quali mi è stato fatto un particolareggiato racconto; quando ho saputo che le volevano cacciare di monastero, ed altre cose del genere, dico il vero, nonché dispiacermi, mi sono molto rallegrata per vedere che, senza bisogno di attraversare gli oceani, avevano trovato, con il favore di Dio, miniere di tesori eterni, con i quali spero si faranno così ricche da renderne partecipi anche le sorelle di qui. Confido nella misericordia di Dio che ne avranno aiuto a sopportare ogni cosa senza offenderlo. Non si affliggano se la prova è dolorosa: forse il Signore vuole dar loro a vedere che quando desideravano di patire, non erano così forti come forse pensavano. Coraggio, coraggio, figliole mie! Ricordino che il Signore non dà mai tribolazioni superiori alle nostre forze e che egli è con coloro che soffrono. E siccome questo è verissimo, nonché scoraggiarsi, devono piuttosto sperare che egli, nella sua misericordia, finirà col manifestare la verità… In tutti i nostri monasteri si prega molto per loro, e spero nella bontà di Dio che presto ogni cosa si appianerà. Cerchino quindi di star allegre. In fin dei conti, che cos’è quello che noi possiamo soffrire per un Dio così buono che tanto per noi ha sofferto? Per lui non hanno ancora versato il loro sangue…».[23]


[1] F 24,6

[2] F 25,6

[3] Toledo, 26 gennaio 1577,1-2

[4] Toledo, 11 luglio 1576, 4

[5] Avila, 28 novembre 1581

[6] Avila, 8 novembre 1581,1

[7] Toledo, 9 gennaio 1577, 2

[8] Burgos, 17 marzo 1582,2

[9] Toledo, 11 novembre 1576

[10]            Allude a suor Maria di Gesù e a suor Maria di S. Pietro che per ordine della Santa erano andate alla fondazione di Granada. La M. Maria di S. Giuseppe le aveva mandate in carrozza, con grande meraviglia della Ven. Anna di Gesù, priora di Granada, secondo la quale quel modo di viaggiare non era consentaneo allo spirito di una carmelitana scalza.

[11] Burgos, 6 luglio 1582

[12] Toledo, 19 novembre 1576,2

[13]            In quel tempo, durante l’assenza del P. Graciàn, la M. Maria era stata incaricata, oltre che del suo monastero, anche di quello di Paterna, dove alcune sue figlie si erano recate a riformare quella comunità di carmelitane calzate.

[14] Toledo, 9 gennaio 1577,5

[15] Toledo, 19 novembre 1576,4

[16] Toledo, 17 gennaio, 1577

[17] Malagon, 21 dicembre 1579,3

[18] Toledo, 27 febbraio 1577,2

[19] Avila, 4 giugno 1578,8

[20] Malagon, 21 dicembre 1579,9.18.19

[21] Avila, 28 marzo 1578,3

[22] Avila, 4 giugno 1578, 9

[23] Avila, 31 gennaio 1579, 1-2.4

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